Questa sera a Firenze era in programma la settima data del tour di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”. Palco alle Cascine, clima ideale, vecchi amici da salutare nelle pause del domino di montaggio-soundcheck-cena, che sfocia in una giusta mezz’ora di relax pre-spettacolo.
Quando il buon Leo, gran maestro della serata, è arrivato in camerino, pensavo volesse avvertirci che mancava un quarto d’ora al via; invece mi ha portato a occhi bassi la notizia sconvolgente che Massimo Canalini, il primo editore di “Jack Frusciante” e una figura unica nel panorama editoriale italiano, se n’era andato.

Conobbi Max nel febbraio ‘92 quando aveva il doppio dei miei anni; mi ha insegnato a prendere la scrittura sul serio e a divertirmi nello sperimentare. Abbiamo portato in giro insieme il mio primo romanzo fra licei, convegni e platee discretamente pazzesche come il Maurizio Costanzo Show, e per dieci anni ancora è stato il mio editor. Né lui né il sottoscritto sono persone facili, presumo, se dopo avere condiviso avventure impagabili e avere visto molte volte sorgere il sole dall’Adriatico, ci si è tenuti lontani l’uno dall’altro per vent’anni.
Dopo tanto tempo, l’ho visto l’ultima volta due settimane fa in Ancona, provato ma determinato nell’espormi nuovi progetti.

Per tornare a questa sera, nell’apprendere la notizia ho provato una vertigine sorda. Per un po’ sono rimasto seduto su un gradino senza sapere tanto bene cosa pensare. Ormai era partito il conto alla rovescia, e non sta bene fare aspettare la gente. Insomma, i miei soci musici sono saliti sul palco a suonare l’intro, e di lì a poco è toccato a me.
Come sempre, fra un brano e l’altro ho parlato anche di Max, e sul pezzo che racconta dell’amicizia fra Alex e Martino, “Amico segreto”, mi sono trovato con la voce rotta.
Stasera c’era una luna pazzesca, alle Cascine.

Servirà tempo per capire cosa ci ha colpiti; poi sarà il caso che tutti noi, non solo gli ex Under 25 e i Tondelliani hardcore transitati dalle stanze di Transeuropa, ma tutti noi che abbiamo a che fare con i libri, cominciamo a fare i conti sul serio con l’eredità di Max. Un uomo, sia detto per inciso, che in ufficio riceveva gli ospiti sotto un ingrandimento formato poster di un articolo che lo definiva “il migliore talent scout d’Italia”, ma al tempo stesso non ha mai smesso di definirsi con orgoglio “un piccolo editore”. Ci metteva anche un’ombra di compiacimento, da primattore qual era, ma su un fatto non l’ho mai sentito scherzare. Penso precisamente a quando definiva la propria opera con un termine solenne e avventuroso, che tanta editoria di oggi farebbe bene a rivalutare: “ricerca”.

E.B., notte 15-16 settembre ‘24